COVID 19 E TAMPONI RAPIDI NEL LAZIO: PERCHE' VALGONO SOLO QUELLI ESEGUITI NELLE STRUTTURE PUBBLICHE?

I prevedibili focolai “di ritorno” delle infezioni da COVID 19, riportano alla ribalta la necessità di assicurare, in tempi e a costi contenuti, la diagnosi basata sul cosiddetto “tampone” è un grande bluff o è affidabile? Risponde Mariastella Giorlandino, Presidente Artemisia Lab.

"Va subito chiarito che per “tampone” si possono intendere due procedure diverse fra loro:

-               la ricerca, nel tampone rino-faringeo, dell’RNA virale con metodiche di biologia molecolare;

-               quella rapida basata sulla sola ricerca dell’antigene attraverso il muco nasale.

Per completezza, ricordiamo anche la diagnosi retrospettiva basata sulla ricerca degli anticorpi (test sierologico).

È ragionevole ritenere che tale necessità troverà ulteriore conferma nella imminente ripresa delle attività lavorative e scolastiche; la riapertura dei confini ai viaggi di lavoro, potrà richiedere agli operatori di certificare, tramite diagnosi rapida alla vigilia della partenza, la negatività di infezioni in atto. E i viaggi di lavoro sono spesso programmati a brevissimo termine.

L’Assessore alla sanità della Regione Lazio ha fatto una bandiera, di qualità ed economicità, a suo dire, del mantenere l’esecuzione dei “tamponi” nella competenza del solo servizio sanitario pubblico.

È di questi giorni l’organizzazione di “tamponi di massa” ai soggetti che rientrano da determinati luoghi di vacanza.

A quanto è dato capire, si tratterebbe di tamponi per la ricerca rapida del solo antigene.

Abbiamo ascoltato il video postato da Roy De Vita – primario di chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Istituto Regina Elena (Ifo) -, che, partendo da un’esperienza personale, pone non pochi problemi sulla affidabilità di questo tipo di test.

In sostanza, i falsi positivi e negativi potrebbero essere ricorrenti, con la conseguenza di tenere in quarantena soggetti non infettati, o non riconoscere soggetti asintomatici.

In effetti, molti ricercatori (Università di Pittsburgh per tutti) dubitano che il test possa funzionare, perché è vero che il virus si annida nelle vie respiratorie, ma non in tutti i soggetti è reperibile nelle mucose di quelle più alte. Con i test molecolari su campione rino-faringeo (RT-PCR), in cui il materiale genetico è “amplificato”, il virus è individuabile (pur con qualche falso negativo); ma in assenza di “amplificazione” la possibilità di individuarlo non è certa. Le aziende che studiano il test per la ricerca dell’antigene solo attraverso il muco nasale, gli attribuiscono una sensibilità del 90% esclusivamente in base a prove di laboratorio. Ma una validazione certa non ci sarebbe ancora.

A questo punto, l’Assessore alla Sanità Alessio D’Amato dovrebbe chiarire chi ha validato il test, con quali procedure e quali risultati, rendendo tali dati pubblici, trasparenti e completi.

Ricordiamo anche che per eseguire i più affidabili test (tamponi) molecolari su campione rino-faringeo (RT-PCR), occorre un’attrezzatura specifica e l’analisi richiede diverse ore di elaborazione, mentre i test per la sola ricerca dell’antigene danno un esito quasi immediato, attraverso un dispositivo portatile.

A questo punto ci sono altri dubbi che andrebbero sciolti:

-               le sole strutture sanitarie pubbliche dispongano delle attrezzature e del personale necessario per eseguire test molecolari di massa?

-               il ricorso al test per la sola ricerca dell’antigene non è per caso un “ripiego” per pubblicizzare una presunta superiorità della sanità pubblica laziale?

-               se così fosse, perché escludere le strutture sanitarie private (abilitate ad eseguire analisi molecolari, ovviamente) dalla possibilità di eseguirli (come avviene in altre Regioni), perdendo parte delle potenzialità del sistema?", conclude la Giorlandino

Commenti